DAL 1973

TENUTA DI TAVIGNANO

La Tenuta di Tavignano, è stata fondata nel 1973 da Stefano Aymerich di Laconi, discendente di una antica casata sarda dalle origini spagnole, e dalla moglie Beatrice Lucangeli, discendente di una famiglia marchigiana con alle spalle un’antica tradizione di imprenditori agricoli. Tavignano è un possedimento di 230 ettari in un corpo unico che domina la campagna di Cingoli, da sempre conosciuta come il Balcone delle Marche. La tenuta si trova all’interno del prestigioso territorio del Verdicchio dei Castelli di Jesi, essendo Tavignano uno dei Castelli della denominazione.

La tenuta fu ristrutturata con un attento restauro conservativo, nel rispetto dell’autenticità del luogo e, nei primi anni, concentrò l’attività aziendale sulla coltivazione di cereali, ortaggi e foraggere.

Negli anni ‘90 la decisione di valorizzare il patrimonio vitivinicolo presente e diventare produttori di varietà autoctone, in controtendenza con la moda dell’epoca che privilegiava quelle internazionali, certi delle grandi potenzialità del vitigno principe di queste terre: il Verdicchio.

Sotto la guida di professionisti del settore come Giancarlo Soverchia, a cui si deve la decisione di espiantare i vigneti esistenti e la visione di adottare il cordone speronato con il Verdicchio per puntare alla massima espressione del vitigno, le scelte aderirono alla personalità dei proprietari volta alla valorizzazione della qualità e della territorialità.

Dal 2004 la scelta di avvalersi, con grande soddisfazione, della consulenza dell’enologo Pierluigi Lorenzetti e già nel 2006 è arrivato il primo importante riconoscimento: i tre Bicchieri del Gambero Rosso per il Misco, Verdicchio dei Castelli di Jesi, Classico Superiore, e per culminare nel 2017 con un premio speciale.

Dal 2014 Ondine de la Feld Aymerich, affianca lo zio Stefano Aymerich, nella gestione dell’azienda, aggiungendo uno stile moderno, dinamico e imprenditoriale. Con il supporto di una squadra giovane e motivata affronta con determinazione le sfide del futuro; una ventata di nuova energia nel segno della continuità.

Nello stesso anno è iniziata la conversione di tutti i vigneti ad agricoltura biologica: la concimazione è organica e viene praticato il sovescio.

Nel 2015, grazie a Ondine e con l’aiuto del Team di Tavignano, prende forma la linea “naturale” dei vini dell’azienda, denominata “I love Monsters”.

Nel 2017, il Misco 2015, Verdicchio dei Castelli di Jesi DOC Classico superiore, vino più rappresentativo di Tavignano, è stato nominato dalla Guida Gambero Rosso 2017, miglior bianco d’Italia. Tavignano continua a scommettere tutto sul Verdicchio dei Castelli di Jesi, e questo risultato è un orgoglio per l’azienda ma anche di buon auspicio per tutta la DOC dei Castelli di Jesi.

Dal 2018 l’azienda è certificata biologica sia a livello dei vigneti, oliveto e seminativi come a livello di cantina permettendo cosi una certificazione biologica in etichetta.

Nel 2021 Ondine de la Feld diventa CEO di Tavignano, e contestualmente inizia la svolta green. L’azienda sta conducendo un programma di studio ecosostenibile per traghettare l’impresa verso un futuro sostenibile con l’obbiettivo di minimizzare il consumo energetico e l’emissione di CO2.


2021

Ondine De La Feld diventa CEO della Tenuta di Tavignano

2018

L’azienda ottiene la certificazione biologica



2017

Misco 2015 Miglior Bianco d’Italia del Gambero Rosso

2015

Nasce la linea “I Love Monsters”



2014

Inizia la conversione al biologico

1994

Inizio della produzione del Misco



1973

Acquisto della Tenuta

2018

L’azienda è certificata biologica


2017

Misco 2015 miglior bianco d’Italia


2015

Nasce la linea “I Love Monsters”


2014

Conversione al biologico


ANNI ‘90

Inizio della produzione autoctona


1973

Acquisto della Tenuta


LA LOCATION

DOVE SIAMO

La Tenuta si estende a 300 m s.l.m. nel comune di Cingoli, in provincia di Macerata, su una collina che domina le valli dei fiumi Esino e Musone, guardando da un lato il Monte San Vicino e dall’altro il mare Adriatico e la riviera del Cònero, nel cuore dell’area classica di produzione del Verdicchio dei Castelli di Jesi, con le peculiarità del versante sud, e del Rosso Piceno DOC. Questa posizione privilegiata crea di fatto l’unicità del suo contesto produttivo.

LA CANTINA

La cantina è il luogo dove viene dato alito al sacro focolare dell’innovazione della Tenuta, costudendo i segreti del processo di vinificazione.
Si tratta di una struttura moderna scavata sottoterra, ricostruita ex novo nel 2005 ed ingrandita, contando oggi una superficie di 500 metri quadri.

La barricaia, collocata al piano terra-seminterrato della casa padronale, conta barriques di rovere francese e botti grandi di rovere di Slavonia, con dimensioni dai 15 ai 25 ettolitri.
Le operazioni di cantina sono orientate a preservare le caratteristiche originali delle uve. La vinificazione dei vini bianchi è effettuata con pressatura soffice delle uve per l’estrazione del mosto mentre la fermentazione avviene a temperatura controllata. Per garantire il mantenimento della natura del vino, la Tenuta privilegia per tutti i vini bianchi e rosati affinamenti in acciaio su fecce fini. Nessun vino bianco della tenuta effettua la macerazione sulle bucce, fatta eccezione per “La Vergine” della linea I Love Monsters. I vini rossi sono prodotti attraverso lunghe fermentazioni a contatto con le bucce, fermentazione malolattica per quasi tutte le etichette della gamma e affinamento in barrique e botti di 2° e 3° passaggio.

CURIOSITÀ

A tal proposito, è di enorme fascino un’ antica leggenda tramandata di generazione in generazione fino ai giorni odierni. Si narra che in un tempo remotissimo, nelle assolate contrade del sud, la vite fosse una semplice pianta ornamentale, rigogliosa nel suo fogliame d’un verde splendente, ma assolutamente incapace di produrre fiori e frutti.

Una primavera di tanti secoli fa un contadino, accortosi di quanto quella pianta facesse ombra ai terreni seminati, decise di potarla drasticamente per ridurne il più possibile la chioma.

Pochi rami, corti e nodosi, sopravvissero ad un trattamento così energico. La verde e frondosa pianta era ormai ridotta all’ombra di se stessa. Vistasi così orrendamente mutilata, la vite iniziò a piangere lacrime di amaro sconforto e sofferenza. Un usignolo che al tramonto soleva rifugiarsi fra il suo verde fogliame la vide in quello stato, ebbe pietà di lei e le disse: “Non piangere…ora canterò per te e le stelle certamente si muoveranno a compassione”.

Svolazzò fra quei poveri rami monchi, si posò con le sue zampette su uno di essi e al calar della notte lasciò che il canto più soave sgorgasse dalla sua tenera ugola. Così fece per dieci notti di seguito. Quelle note vibranti di sentimento ebbero la forza di smuovere il cielo. Le stelle, commosse, fecero così discendere un po’ della loro energia sulla povera pianta mortificata dalla mano dell’uomo. La vite si sentì fremere in ogni sua fibra e le parve come se una nuova linfa fosse giunta a darle vigore. I nodi dei suoi rami si gonfiarono, le gemme si dischiusero e le verdi foglie si offrirono al lieve alito del vento, mentre teneri riccioli verdi, i viticci, si fletterono verso l’usignolo avvolgendogli le piccole zampe in una muta carezza. Le sue lacrime, belle come perle d’oriente, si trasformarono un po’ alla volta in tanti piccoli succosi acini e, al sorgere del sole, già pendevano dai rami i primi grappoli d’uva. Ritrovato il suo antico aspetto, la vite s’accorse però di non essere più una sterile pianta: dai suoi rami spuntavano frutti che possedevano la forza delle stelle, la dolcezza del canto dell’usignolo e la luminosa grazia delle splendide notti d’estate.